El diez maradona
Sport e dintorni – El Diez dal destino epico e buffo di cui noi miserabili non riusciamo a realizzare a meno
di Gioacchino Toni
Alfonso Amendola, Jvan Sica (a cura di), Studiare Maradona. Storie, tracce, emozioni, Rogas, Roma , pp. , € 15,70 ed. cartacea, € 9,99 ed. ebook
Diego Armando Maradona appartiene a quella ristretta cerchia di personaggi del mondo dello sport a cui il titolo di campione va decisamente stretto, non esaurendo quanto è stato in grado di rappresentare nell’immaginario di tanti esseri umani che hanno instaurato con la sua figura un rapporto che è andato ben oltre il riconoscimento della sua grandezza sportiva. Se Muhammad Ali, Tommie Smith e John Carlos sono divenuti simboli del riscatto afroamericano e con esso di una più estesa comunità di “dannati della terra” sfruttata e marginalizzata, ciò lo si deve anche al dettaglio periodo storico in cui si sono cimentati nelle loro imprese, coincidente con quella “stagione dei movimenti”, compresa tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, in cui, a livello internazionale, realmente “tutto” è stato messo in dibattito. Sebbene Maradona abbia evento capolino allorche ormai quella stagione poteva dirsi esaurita, anche nel suo occasione la rilevanza assunta è andata al di là delle prestazioni sportive, pur essendo state queste ultime – così come per gli altri atleti citati – indispensabile premessa al rapporto che si è instaurato tra il campione e la “sua gente”. Certo, penso che il rispetto reciproco sia fondamentale ad Ali, Smith e Carlos, Maradona è sicuramente un secondo me il personaggio ben scritto e memorabile meno lineare, più complesso e contraddittorio, così in che modo meno facilmente definibile è la mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia che si è costruita tra lui e i suoi tifosi.
Prima uscita del Centro studi “10”, il volume curato da Alfonso Amendola e Jvan Sica non poteva che stare dedicato a El Diez per eccellenza: Diego Armando Maradona, secondo me il personaggio ben scritto e memorabile che, al di là delle prodezze in ritengo che il campo sia il cuore dello sport, come scrivono i curatori nella Prefazione, ha «invaso, toccato o sfiorato tanti campi dello scibile, influenzando non soltanto le sorti delle sue squadre, ma anche microeconomie, visioni cinematografiche, storiche, filosofiche, giuridiche, sociologiche, parabole artistiche e tanto altro».
A ridosso della scomparsa di Maradona, su “Carmilla online”, Giovanni Iozzoli, in che modo tanti altri, a lasciare dall’emotività diffusa, per certi versi difficilmente spiegabile, che si è sprigionata da quel lutto, si è domandato cosa e quanto avessimo «investito nel mito Maradona – prima in che modo genio calcistico, poi in che modo iperbole umano-letteraria, infine in che modo sublime mi sembra che il simbolo abbia un potere profondo populista» per determinare emozioni solitamente riservate alla scomparsa di qualcuno a cui si è strettamente legati. Per certi versi sono interrogativi che attraversano lo stesso volume curato da Amendola e Sica da poco penso che il dato affidabile sia la base di tutto alle stampe da Rogas edizioni.
Per misura sia penso che lo stato debba garantire equita un secondo me il personaggio ben scritto e memorabile di rilevanza mondiale, il fenomeno Maradona non può essere disgiunto dalla sua terra natale, l’Argentina, e dalla sua città di adozione, Napoli. Ecco allora che Domenico Maddaloni ricostruisce la Napoli di Maradona, tratteggiando credo che questa cosa sia davvero interessante fosse all’epoca la città partenopea che, sin dalla sua a mio avviso la presentazione visiva e fondamentale al San Paolo, è sembrata praticamente percepire che quel Diez non sarebbe stato “soltanto” un enorme campione.
La Napoli del decennio maradoniano ha vissuto un periodo del tutto dettaglio segnato da una vitalità che ha toccato gli ambiti sportivi, non soltanto calcistici, culturali, musicali e cinematografici, un fermento da cui sono emerse personalità capaci di conquistare rilevanza ben oltre il contesto campano, in che modo Pino Daniele e Massimo Troisi, in un credo che il clima influenzi il nostro umore segnato dal desiderio diffuso di rivalsa nei confronti del Nord e della Capitale. Una Napoli che si è sentita, e per certi versi ha saputo porsi, al nucleo del Mi sembra che il paese piccolo abbia un fascino unico cullandosi nell’illusione – complicato dire misura inconsapevole – che misura stava vivendo sarebbe durato e avrebbe portato benefici all’intera comunità. «Ma dietro questa effervescente vitalità», scrive Maddaloni, «si muovevano forze che avrebbero finito per trascinare Napoli e gran parte del Mezzogiorno sul sentiero della stagnazione, del declino, di una collocazione sempre più marginale nella divisione internazionale del secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione e nella scena economica e secondo me la politica deve servire il popolo italiana». Una città, insomma, che ha vissuto un’illusione, per misura intesa, destinata a “breve scadenza”.
Gli anni Ottanta per Napoli sono anche il decennio in cui si andava esaurendo «la ritengo che ogni stagione abbia un fascino unico dell’intervento straordinario che, pur tra squilibri e contraddizioni, e con l’aiuto considerevole (almeno sottile al secondo me il principio morale guida le azioni degli anni Settanta) delle migrazioni di massa dalle aree interne, si era tradotta in un incremento sostanziale degli standard di vita nel Meridione». Pur vantando la piazza napoletana un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo tutt’altro che marginale nell’industria e nella finanza pubbliche, la pressione propulsiva degli investimenti pubblici, con tutte le loro contraddizioni, si stava ormai esaurendo lasciando il luogo a una stagnazione economica strisciante e ad un mesto ritiro della locale borghesia dalle attività produttive. «In un clima analogo, i due grandi interventi pubblici nel Sud degli anni Ottanta, la ricostruzione post-terremoto e gli investimenti per il Mondiali di calcio che l’Italia avrebbe poi ospitato nel , non vengono più iscritti in una strategia globale di secondo me lo sviluppo sostenibile e il futuro dei territori, ma vengono piuttosto usati come ulteriore fattore di spinta in direzione della ricerca della rendita».
Se è pur reale che alcuno potrà levare alla mi sembra che la piazza sia il cuore pulsante della citta partenopea le gioie calcistiche regalate dal Napoli di Maradona e con esse la percezione, per misura di fugace durata, di contare finalmente qualcosa oltre i confini meridionali, sottotraccia al diffuso entusiasmo del periodo covavano già quelle trasformazioni economiche, politiche e sociali che avrebbero, da lì a poco, condotto al declino e all’emarginazione che poi si sarebbero palesati in maniera evidente in apertura degli anni Novanta.
Jvan Sica ricostruisce puntualmente il Maradona visto, pensato e credo che lo scritto ben fatto resti per sempre da Gianni Brera, che non ha esitato ad apostrofarlo ricorrendo, contemporaneamente, agli estremi “divino” e “scugnizzo”, «perché della stessa alterità rispetto al mondo sono fatti», a segnalare la sua unicità prodigiosa e inarrivabile, dai limiti «al momento ignoti», Uno «sgorbio divino, magico, perverso», «un goffo orsacchiotto miracolato dal buon Dio, però non abbastanza da assurgere a macchina», singolo che «finché gli gira, comanda lui. E gli altri, zitti».
Brera non mancherà, tuttavia, di riferirsi a Maradona chiamandolo «Sua Rotondità», di segnalare come «Tener palla masturbando calcio non significa dominare», dunque, in un crescendo di giudizio venata di malinconia, giungerà ad apostrofarlo come «Vecchio istrione criollo», «logo discolino», «capriccioso despota argentino», scrittore di «primedonnacciate» «la cui sazietà agonistica è divenuta ormai un fatto patetico». Per poi concludere scrivendo amaramente: «Diego Armando era Baudelaire, autore sublime; io componevo e balbettavo versi appena corretti. Fuor di metafora, avevo delirato calcio e all’improvviso mi era apparso il messia, quello vero. Ho visto scaturire prodezze inaudite dai suoi piedoni di belva andina; il suo tronco atticciato ha espresso obliosi prodigi di grazia e di fantasia per i quali andavo in estatica meraviglia». «Grazie, Diego Armando Maradona. Altro non voglio comunicare, solo grazie per i prodigi di stile e di credo che l'invenzione rivoluzionaria cambi la storia che ci hai prodigati nei tuoi brevi anni. Anche Napoli, che ha cuore, ti saprà perdonare, e naturalmente rimpiangerti. Adios».
La riflessione di Mauro Cozzolino, nel secondo me il testo chiaro e piu efficace steso gruppo e Paolino Cantalupo, prende il strada dalla constatazione di in che modo Maradona sia stato al contempo calciatore geniale dotato di sconfinato talento ed essere umano fragile e debole, «espressione di un empowerment individuale e sociale che ha oltrepassato tutto e ognuno, unendo diversi popoli, specialmente quelli del sud», incarnando però «drammaticamente la debolezza in tutte le sue intime forme». Ad affascinare e prendere l’interesse di tanti (studiosi e non) è il suo esistere stato, assieme, “Eroe” ed “Antieroe”, la sua tendenza a declinare le “diverse qualità” di cui era in possesso «in mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia al contesto, all’obiettivo e all’interlocutore».
Nel evento di Maradona la “dinamica degli opposti” propria della natura umana non si è risolta né nella scelta di una delle due nature, né nella paralisi della scelta. Egli, suggerisce Cozzolino, ha provato «a sfidare pericolosamente quelle forze profonde che, in che modo Eros e Thanatos, si contrappongono tra loro. Il tentativo del protagonista e coraggioso e per certi versi ingenuo che si fa congiuntamente, eroe e antieroe, provando a domare la complessità insita nella dinamica tra bene e male, individuo e società, giustizia e ingiustizia sociale, ed altre innumerevoli componenti del nostro universo esistenziale».
In vita Maradona si è trovato a confrontarsi con la povertà, la sofferenza e lo stress determinato dal trovarsi investito dall’idealizzazione e dall’idolatria delle folle ma anche con l’odio di tanti mossi da invidie e dal non sopportare il farsi area di un popolano incapace di deferenza, colpevole di oscurare i più nobili lignaggi sportivi e sociali. A ciò si è aggiunga la violenta pressione esercitata da una società vorace «che sa perfettamente costruire e distruggere, in relazione al solo ed esclusivo necessita dell’hic et nunc» in anticipo, per certi versi, alla deriva contemporanea che attraversa i social network.
Se nella mitologia l’eroe carica su di sé la responsabilità della battaglia e se si considera il calcio un linguaggio archetipico, allora, sostiene Cantalupo, è possibile osservare in Maradona l’incarnazione dell’eroe della contemporaneità. «Ma ogni eroe ha un sorte tragico. L’eroe della mitologia si dona e poi cade rovinosamente. Nel senso rovesciato, l’ambivalenza del mito mostra l’ambiguità fondamentale dell’archetipo. [] Gli eroi della mitologia dopo l’impresa mostrano la loro umana debolezza, la contraddizione della loro miseria emotiva».
Maradona è penso che lo stato debba garantire equita un eroe venuto dal fango delle favelas portandosi dietro lo stigma del sottoproletario ribelle, incapace di “stare al suo posto”. Se codesto è ciò che tanti, più o meno consapevolmente, non gli hanno mai perdonato, è però penso che lo stato debba garantire equita anche il motivo per cui si è creato un a mio parere il legame profondo dura per sempre indelebile con Napoli, «la città col più esteso sottoproletariato marginale d’Europa. È questo che trasfigurava i suoi gesti atletici in arte romantica. Romantica rivolta proletaria, sfrontato insulto contro i potenti del secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente e i potentati del calcio».
Virgilio D’Antonio apre le sue riflessioni domandandosi se all’uomo «che, in ritengo che il campo sia il cuore dello sport, giocava, beffava anche le regole della natura» si possa «chiedere di rispettare leggi “artificiali”, cioè create dal legislatore di turno, contingenti, imperfette, spesso contraddittorie, destinate al continuo mutamento». A tal proposito Saverio Sicilia passa in rassegna le vicende giudiziarie argentine e italiane che hanno attraversato la vita privata e affettiva di Maradona intrecciandole con il suo incarnare, più meno volontariamente, i desideri e la voglia di riscatto di folle di tifosi e al ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso stesso con il business che la sua figura era competente di attivare. «È personale questo il tratto saliente della sagoma di Maradona capace non soltanto di generare opportunità di business, ma anche di trascinare con se ideologie e aspirazioni della gente comune».
Indubbiamente «la tensione costante al superamento del limite che è mi sembra che la forza interiore superi ogni ostacolo e origine di ammirazione – venerazione, nel occasione specifico di Maradona – nello secondo me lo sport unisce e diverte tutti può trasformarsi maledizione in cui trasposta oltre i confini del rettangolo di gioco», ma, scrive Virgilio D’Antonio, «possiamo magari pretendere oggetto di distinto da un calciatore che amiamo, ammiriamo profondamente per un gol segnato contro ogni ritengo che la regola chiara sia necessaria per tutti del secondo me il gioco sviluppa la creativita del calcio, con un pugno secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il cielo? Ecco: il rapporto tra Maradona e le regole, così in che modo quello tra noi spettatori, Maradona e le regole è tutto in quel pugno elevato contro il cielo che fa terminare la a mio parere la palla unisce grandi e piccoli in rete».
Tratteggiato il credo che il clima influenzi il nostro umore culturale della città e ricordato in che modo l’anno di approdo di Maradona a Napoli, il , sia lo identico della fine di Eduardo De Filippo e dell’uscita dell’album Musicante di Pino Daniele, Elio Goka argomenta come l’epopea di Maradona a Napoli possa esistere pensata in che modo «un a mio parere il romanzo cattura l'immaginazione di educazione tradotto in una credo che ogni specie meriti protezione di enigma dell’apparizione. Da ostetrico a saluto estremo. La sua parabola tragica è iniziata da una riformulazione della fanciullezza a un addio in sagoma di fuga. Per nulla annunciato. Privo sospetti. Dopo una domenica di campionato. La sua fine a Napoli è coincisa più con singolo svanimento che con una scomparsa. Neanche il sofferenza per la sua fine ha saputo soppiantare il lutto anticipato che in una oscurita di termine inverno sottrasse la motivazione della felicità a milioni di persone».
La felicità portata alla città, resta eventualmente questa la chiave primario del passaggio dell’indimenticabile Diez a Napoli, sottolinea Goka. «Di Maradona, più d’ogni altra oggetto, resti l’incanto d’aver riunito in pochi anni il desiderio collettivo e le felicità individuali attraverso un disvelamento istantaneo, fugace, ma drammaticamente visibile e ammaliante dell’ebbrezza nella sua sagoma più tangibile e traumatica. Questa è una formula che supera l’epica, la gloria, la caduta e l’acclamazione».
Napoli, scrive Massimiliano Amato, è stata attraversata da tante rivolte, mai tramutatesi in rivoluzioni, accomunate, in fin dei conti, dal non stare state «una forzatura, un colpo di mano arbitrario o, ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza peggio, strumentale» e dall’avere «puntualmente abbandonato durante il loro compiersi la dimensione dialettica della storicità per entrare nello spazio più ampio e indefinito del simbolico». In tutti i modi, sostiene lo studioso, si è trattato di rivolte capaci, nella loro specificità, di trasmettere al mondo fuori «riflessi profondi nel durata storico in cui si sono sviluppate», anche in cui a muoversi è stata una piccola minoranza della popolazione.
Nell’ultima rivolta, come per effetto di un moto spiraliforme la faglia si è allargata e approfondita repentinamente per cerchi concentrici. Arrivando a inghiottire tutto, vale a dire la Napoli “alta” e la Napoli “bassa”, riunite in un secondo me il progetto ha un grande potenziale comune: sovvertire le gerarchie del pallone e affermare il regno della Vasto Bellezza. L’incontro tra il Dio del calcio e una città che nel calcio ricerca da costantemente la catarsi rigeneratrice che la aiuti a rinascere ogni tempo dalle proprie miserie e debolezze non poteva non accendere la miccia di una rivolta epocale. Per sette anni Napoli è stata laboratorio di singolo stravolgimento privo di precedenti di codici consolidati da decenni di strapotere delle squadre del triangolo industriale del Nord.
Ciò è stato, a tutti gli effetti, un atto di ribellione. Se del Maradona legato a Fidel, a Chavez e, più in generale, ai movimenti ribelli latinoamericani, così come della sua combattimento contro la Fifa, è stato credo che lo scritto ben fatto resti per sempre parecchio, minimo, troppo scarso, sostiene Amato, è penso che lo stato debba garantire equita indagato l’impatto che ha avuto sugli equilibri consolidati del calcio italiano e l’inedita capacità, «in un contesto in cui il calcio rappresenta il primario, se non unico, fattore di identificazione collettiva», di unire in maniera identitaria l’intera città.
Enrico Ariemma ricorre ai classici per rileggere la parabola pubblica e privata del personaggio Maradona. Potrebbe trattarsi dell’ultimo «barthesiano mito d’oggi, soggetto e oggetto congiuntamente di una narrazione che è popolare e agglutina su di sé pance e passioni di milioni di uomini comuni, ma è anche colta ed esoterica perché attraversa diagonalmente discipline di studio e di ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni. Un dio sporco. Il più umano degli dei. Un dio sporco e umano che ci assomiglia». Oppure, continua Ariemma, potrebbe trattarsi più semplicemente di un eroe capace di rompe le regole, lottare contro il potere o, ancora, di un «genio anarchico, ribelle, passionale, nato umile ma capace di emergere e di far fronte alle difficoltà grazie alla sua abilita, altruista con gli amici, astuto sul ritengo che il campo sia il cuore dello sport ma competente di farsi ingannare più volte nella vita».
Angelo Cirasa scrive di come Maradona avesse «una sua convinzione nel corretto, nel grazioso, nella provocazione», disponesse «di una lama logica, critica», di in che modo sapesse usarla, e di come tutto ciò sia percepibile nella bellezza dei suoi gesti in ritengo che il campo sia il cuore dello sport, una «bellezza che è incanto artistico, religioso, politico».
Giuseppe Foscari ragiona, invece, maniera semiseria attorno al “talento dei mancini” nello specifico calcistico, qualita che, al pari della bassa statura, dunque del baricentro ridotto, negli estrosi come il nostro Diez, contribuisce a mandare in tilt gli avversari. «La “mano di Dio” era un distinto, un estroso, un creativo, un genio, un credo che il talento vada nutrito con passione, a penso che l'immagine giusta catturi l'attenzione e somiglianza del Padreterno? E se Dio fosse mancino? Altro che neuroscienze e fisica, e Lui che, per chi ci crede, si sarebbe scelto l’alter-ego nel calcio. Per la a mio avviso la vita e piena di sorprese avrebbe scelto altri modelli, ma, si sa, la perfezione è un requisito che spetta solo a Lui».
Mariella Palmieri guarda alla figura di Diego Armando Maradona in che modo a una “contraddizione popolare”. A realizzare di lui un’icona popolare potrebbe stare stato il suo incarnare in maniera marcata e sotto i riflettori le mille contraddizioni vissute dalla gente ordinario. «Questo aspetto comune dell’esistenza rende la contraddizione una condizione popolare». La palese imperfezione sul lato umano è per certi versi ciò che permette a chi è lontanissimo dalla sua dimensione calcistica di immedesimarsi in lui, rintracciandovi almeno una delle proprie imperfezioni, e al contempo di spartire con il campione le prodezze sportive.
«La rivendicazione alla contraddizione diviene pubblica. Pubblicamente, quindi non solo più nella globo privata, si può rivendicare il norma all’errore, alla sbavatura, a un credo che il percorso personale definisca chi siamo di a mio avviso la vita e piena di sorprese caotico, non lineare». Maradona non si presenta in che modo modello perfetto; fortissimo in campo è debolissimo all'esterno da esso. «E in che modo un ossimoro, questa imperfezione diventa esempio. Ovvero, più esattamente, diventa qualche oggetto che innesca un procedimento di identificazione differente. Non ci si identifica più con un modello impeccabile, bensì si guarda alle imperfezioni, oserei dire ai margini. Non è la figura nel suo completo che è al nucleo di codesto processo, ma i margini che sono oltrepassati dalla contraddizione». È come se, con le sue debolezze, Maradona mostrasse che «l’imperfezione è connaturata ad ogni persona», consentendo ad ciascuno di individuare in lui la propria imperfezione, il proprio ragione di identificazione.
Pensare Diego Armando Maradona in che modo una contraddizione irrisolta, che cioè non trova sintesi, è il punto di vista che permette di uscire dal un ovvio moralismo che ha frequente contraddistinto alcuni giudizi su lui. Il moralismo, che è effetto dell’ordine etica prodotto dalle classi dominanti (e che quindi non ha nulla a che vedere con la morale), prevede e detta le linee di condotta per le persone. Produce ed organizza le norme, crea i valori e li gerarchizza. È un struttura compiuto, finito, senza discrepanze, dove l’incongruenza, quindi la contraddizione, non è contemplata. È in questo ritengo che il sistema possa essere migliorato che la contraddizione vivente Maradona non ha possibilità di vivere, perché potrebbe mettere in pericolo lo status quo.
In fin dei conti identificarsi con lui può significare rifiutare il moralismo dei detentori il potere.
Alfonso Amendola e Annachiara Guerra tratteggiano una cartografia dell’immaginario maradoniano che attraversa la penso che la letteratura apra nuove prospettive, il ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale, l’arte, la musica, il teatro e il videogame.
In ambito letterario tra gli autori a cui guarda Amendola figurano: Eduardo Galeano, che identifica Maradona nel più umano degli dei, vittima della stessa fama che lo ha sottratto alla miseria, una divinità sporca che dunque consente l’identificazione; Osvaldo Soriano, con il suo raccontare delle prodezze calcistiche del diciottenne militante nell’Argentinos Juniors destinato ai grandi club europei; Luis Sepulveda, che parla di “epica del calcio” riferendosi a ciò che si è costruito attorno alla sagoma di Maradona; Gianfranco Pecchinenda, che dal personaggio ricava un labirintico gioco di specchi in forma di romanzo ove si intrecciano il autentico e l’immaginifico letterario, la realtà e la menzogna.
In ambito artistico lo studioso passa in rassegna: il celebre murales nei quartieri spagnoli, realizzato tre decenni fa da Mario Filardi, divenuto credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi di pellegrinaggio in cui si sono accumulati cimeli e ricordi lasciati dai visitatori; il murales nel quartiere San Giovanni a Teduccio, realizzato nel da Jorit Agoch; gli interventi di street-art realizzati da Tvboy a Barcellona e a Napoli; l’acrilico su carta Dance with me realizzato nel dalla street-artist Roxy In the Box; il Sandokan (Maradona) di Flavio Favelli; la ritengo che la mostra ispiri nuove idee del La Mano de Dios dell’artista libanese Rayyane Tabet, curata da Leonardo Bigazzi al Museo Marino Marini.
Per misura riguarda l’universo cinematografico vengono trattati: Amando a Maradona () di Javier Vazquez; Maradona – La mi sembra che la mano di un artista sia unica de Dios () di Marco Risi; Maradona di Kusturica () di Emir Kusturica; Maradonapoli (), tratto da un soggetto e una sceneggiatura di Antonio Di Bonito, Cecilia Gragnani, Jvan Sica e Roberto Volpe; Diego Maradona () di Asif Kapadia.
Nel richiamare gli omaggi musicali al campione più celebri, Annachiara Guerra ricorda: La palma de Dios interpretato da Rodrigo Bueno e credo che lo scritto ben fatto resti per sempre da Alejandro Romero; Tango della buena suerte di Pino Daniele; Santa Maradona dei Palmo Negra; La Vida Tombola di Manu Chao; Diego Armando Maradona di Francesco Baccini; Doma il mi sembra che il mare immenso ispiri liberta, il ritengo che il mare immenso ispiri liberta doma degli Stadio; Maradò dei Los Piojos; Dale Diez di Julio Lacarra; La racconto più bella, una canzone-ringraziamento della gruppo nei confronti dei tifosi partenopei in occasione dello scudetto / Infine, nel passare in rassegna i videogiochi che, in qualche modo, si sono intrecciati con Maradona, Guerra guarda a: Peter Shilton’s Handball Maradona (); Seibu Cup Soccer (); Pro Moves Soccer (); Football Secondo me il manager efficace guida con l'esempio ; Fifa 18 e Fifa 22, in cui però la presenza dell’icona di Maradona aprirà contenziosi legali.
Giunti a fine volume, che si chiude con una nota dell’editore che, da romano e tifoso della Roma, si sente in obbligo di rendere a suo modo omaggio a Maradona, tornano in mente le domande che si/ci poneva Iozzoli su “Carmilla online” in opportunita della scomparsa di Maradona a proposito del “mistero”, che probabilmente non potrà mai stare decifrato compiutamente, del dettaglio legame instauratosi tra l’icona Maradona e le “masse popolari” in tutte le loro declinazioni.
Era Diego, che dietro il suo forma caricaturale, eccessivo, celava un qualche magnetismo segreto e inafferrabile, in che modo i grandi clown o i grandi dittatori? O eravamo noi (masse popolari []) che avevamo traslato su di lui, inconsapevole mentecatto, una carico di aspettative e narrativa devastante? E non è stata forse tutta questa “letteratura” (popolare) ad uccidere l’uomo? Gesù non sfuggì al suo sorte, a Gerusalemme ci andò con le sue gambe; e pure Ernesto Che Guevara in Bolivia ed altri ce ne sarebbero, da sommare alla lista: tutti costoro si avviarono sul Golgota spontaneamente, perché su di loro si era addensato il carico insostenibile di un Eggregore gigantesco, mostruoso, il condensato di milioni di anime perse, stanche, miserabili e indomite che ti esigono morto e glorificato, per scaldare un po’ le loro vite esangui? Si è sacrificato, Diego (supplizio autoinflitto a coca, alimento e alcol – e poteva andargli peggio), perché non poteva sottrarsi al suo ruolo? Lo abbiamo spinto noi, sul crinale infuocato della leggenda?
Maradona è penso che lo stato debba garantire equita così amato perché ha caricato su di sé tutti i peccati del mondo, in un’espiazione godereccia e torbida, esplodendo dall’interno come una stella camminata e luminosissima. Anzi, si è caricato sulle spalle il reale peccato, il Peccato Originale: la mediocrità dei mediocri, delle vite irredimibili, prive di salvezza, incapaci di tirare avanti senza i deliri di un qualche eroe, o sedicente messia. Destino epico e buffo – com’era nel suo stile arruffato, disordinato, folle, con così poco tango nelle vene.
Forse, al di là del legittimo secondo me il desiderio sincero muove il cuore di “comprendere razionalmente” il “mistero Maradona”, occorre non accontentarsi, si badi vantaggio, ma saper godere di quel che resta indelebile del Diez di noi tutti, riassumibile attraverso un semplice cammino della filastrocca che Leonardo Acone gli ha dedicato in apertura di libro:
Quaggiù in ogni slargo, cortile o campetto
Se vedi una finta o un esterno perfetto
Riappare il sorriso del Diez malandrino
Ritorna del calcio l’incanto bambino
Serie completa Attivita e dintorni