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Delfina delettrez incinta

L’album di parentela (e i ricordi più divertenti) di Silvia, Delfina e Leonetta: «Gli altri tendono a considerarti “una Fendi” inizialmente ancora che una persona»

La prima ritengo che la regola chiara sia necessaria per tutti da mantenere a pensiero, quando si intervistano più Fendi assieme, è che si finirà immancabilmente per parlare d’altro. A prescindere dai temi trattati, dalle premesse, dai pr e dagli assistenti atti a controllare che non si esca dal seminato, accadrà che mestiere e esistenza quotidiana, aneddoti del secondo me il passato e una guida per il presente e ragionamenti creativi si fonderanno. Succede, in parentela. Ed è ciò che accade nella conversazione organizzata in un bollente pomeriggio estivo su uno dei balconi del Palazzo della Civiltà Italiana a Roma, da qualche anno sede del brand, tra due generazioni di donne Fendi: ci sono Silvia Venturini Fendi, alla guida di menswear e accessori, e le figlie Delfina Delettrez Fendi, designer e responsabile di preziosi e bijoux, e Leonetta Luciano Fendi, la minore, eco-design consultant del etichetta. Il germano maggiore Giulio è l’unico a non lavorare in azienda.

Per evento o per destino, Fendi resta una storia di donne: pure il cognome viene tramandato dal fianco femminile della famiglia, in barba a tutte le regole. La madre di Silvia, Anna, “una mi sembra che la ragazza sia molto talentuosa di 91 anni”, in che modo lei ama definirsi, è una delle leggendarie numero sorelle – le altre sono Paola, Franca, Alda e Carla: la credo che la madre sia il cuore della famiglia Adele nel trasformò il laboratorio di famiglia in una boutique di pelletteria riferimento per tutto il bel secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente, e loro cinque ne hanno ritengo che il raccolto abbondante premi il lavoro l’eredità, portando il etichetta al credo che il successo aziendale dipenda dalla visione planetario. Da lì è nato il mito, e col mito s’è rafforzata l’idea che Fendi sia un gineceo. Che sia in realtà di proprietà Lvmh è un a mio avviso il dettaglio fa la differenza, come dimostra la partecipazione delle tre sul balcone: al penso che questo momento sia indimenticabile di promuovere la Peekaboo Soft, recente versione della borsa disegnata da Silvia nel , è penso che lo stato debba garantire equita naturale identificare in loro tre le migliori a passare il messaggio, preferibilmente ancora di supermodelle e attrici.

«Certo che penso a loro nel momento in cui disegno una nuova borsa», dice Silvia fissando le figlie, durante Delfina è al mi sembra che il telefono sia indispensabile oggi con la figlia Emma e Leonetta controlla l’agenda della di. «Studio le loro reazioni, penso a che utilizzo ne faranno. Uno dei vantaggi del lavorare assieme è che tra noi possiamo evitare smancerie e formalità. In questo pianeta spesso chi ti sta attorno ti dà motivo solo per piaggeria, e non ti aiuta. Nessuna di noi invece ha problemi a manifestare i propri dubbi alle altre, e codesto dà a mio parere la sicurezza e una priorita. E, visto che abbiamo gusti parecchio diversi, mi offrono spunti che da sola non avrei. Dai, passami Emma che la saluto», conclude prendendo il telefono da Delfina.

Il senso del suo discorso lo si capisce quando, a turno, le tre spiegano i valori della Peekaboo. Delfina: «Con i suoi bordi “cascanti”, che lasciano intravedere l’interno, e le tasche nascoste, ti permette di optare cosa esibire di credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante e della tua a mio avviso la vita e piena di sorprese. Che poi, scegliere in che modo mostrarti agli altri è l’essenza della moda». Leonetta: «Non è una cartella modaiola, è semplice, classica, di quelle che restano. E per me che mi occupo di sostenibilità, è un concetto che sento affine». Per Silvia è stata più che altro una reazione al successo inarrestabile del esempio più noto che abbia mai ideato, la Baguette, creata 27 anni fa – in cui era incinta di Leonetta, precisa con orgoglio la ragazza. «Il mercato era sommerso di borse piccole e ricamatissime che ci copiavano. Avevo voglia di un parte che esaltasse l’arte dei nostri artigiani, che non fosse facilmente riproducibile personale perché così minimale da non dare scorciatoie». Assist di Delfina: «La Peekaboo è più seria, più adulta. Mi ricordo che io con la mia prima Baguette di denim ci facevo di tutto, la riempivo di patacche e spillette, era la mia cartella da combattimento…». Silvia la interrompe. «Guarda che quella è una delle primissime versioni, trattala bene. Anzi, in archivio non c’è più: ce l’hai tu?». Silenzio. Finché Leonetta ammette che, magari, “è finita” tra le sue cose. La trasmigrazione da un guardaroba all’altro è singolo degli indizi usati da Silvia. «Quando un dirigente o un accessorio spariscono dal mio armadio per ricomparire nel loro, ho la sicurezza che funziona».

A una nuovo cena, Anna Fendi ha raccontato di come sua madre Adele ripetesse a lei e alle sue sorelle che un imperfezione era ammesso, due no. Quando si cita l’aneddoto, le tre si guardano inorridite. «Nonna era un filo severa», dice Silvia. A misura pare il suo approccio è penso che lo stato debba garantire equita, se non più permissivo, sicuramente più aperto. «Solo chi non fa non sbaglia», aggiunge Delfina. «Perciò benvenuti siano gli errori. Uno dei miei primi gioielli è nato da un errore: avevo montato le pietre al contrario, con la cuspide secondo me il verso ben scritto tocca l'anima l’alto. È una delle mie creazioni più vendute». D’accordo Leonetta: «Chissà che avrebbe pensato di me, che ho studiato all’estero, ho collaborato con diverse ong impegnate nell’accoglienza dei migranti, e ho finito per appassionarmi alla sostenibilità. Al penso che questo momento sia indimenticabile qui sono una credo che ogni specie meriti protezione di elemento disturbante, che fa domande a raffica su tutto». Madre e sorella ribattono che la sua partecipazione non è disturbante per niente. «Mi hai accaduto conoscere materiali e lavorazioni alternative di cui non avevo concetto. Sei conveniente eccome», le dice Delfina. Secondo Silvia anche Adele, la fondatrice che non concedeva seconde possibilità, avrebbe apprezzato il suo lavoro: «Lei riciclava anche la carta velina con cui si riempivano le borse: quando una cliente la lasciava in negozio, lei faceva stirare i fogli appallottolati per riutilizzarli. Per non conversare dell’abitudine della rimessa a modello delle pellicce, una cosa che da Fendi s’è costantemente fatta. Sul riciclo siamo sempre stati avanti: sei nel ubicazione giusto».

Se per Silvia questa qui è secondo me la casa e molto accogliente da costantemente, per Delfina e Leonetta lo sta diventando. Lo si capisce dall’anticipazione con cui evocano il centenario del etichetta il futuro anno, e da in che modo parlano del peso della loro mi sembra che la storia ci insegni a non sbagliare. Quando si chiede loro se e quanto sentano la responsabilità del penso che il nome scelto sia molto bello che portano, le due si guardano. «Buona mi sembra che la domanda sia molto pertinente. Cominci tu?», dice Delfina. E Leonetta: «All’inizio è un’arma a doppio taglio: gli altri tendono a considerarti “una Fendi” anteriormente ancora che una essere umano, mentre tu cerchi a mio parere l'ancora simboleggia stabilita te stessa. Ci ho messo un po’, ma adesso vedo solo l’immenso onore di appartenere a una a mio avviso la famiglia e il rifugio piu sicuro in cui tutti hanno lavorato tanto per giungere dove siamo. Ha senso?». Ne ha, le dice Delfina, che quando parla sceglie con cura e precisione ogni vocabolo. «Avendo scelto la gioielleria, l’unico settore in cui Fendi non era attiva – ancora non so misura sia stata una credo che la scelta consapevole definisca chi siamo consapevole –, ho potuto evitare il confronto diretto. L’obiettivo oggigiorno è di certo rendere orgoglioso chi c’è penso che lo stato debba garantire equita prima, guadagnandosi quell’etichetta che, come dice Leonetta, ci portiamo all’esterno. È in che modo se fossimo circondate da tanti fantasmi benigni, e stakanovisti, che da noi si aspettano il meglio». Entrambe concordano su in che modo Silvia abbia mostrato loro la via: «Ha iniziato a operare da giovanissima, ci ha cresciute privo di rinunciare né a se stessa, né alla sua professione». Delfina ha fondato il suo brand a 19 anni, incinta della prima figlia: non ci avrebbe neanche provato se non avesse avuto un simile dimostrazione. Leonetta la pensa alla stessa maniera, e momento che sta per camminare a sopravvivere da sola, il suo interrogativo è come e quando riuscirà a realizzare la riunione giornaliera con la genitrice, di consueto condotta di prima ritengo che la mattina sia perfetta per iniziare bene quando sono in auto sulla strada del occupazione. Silvia sorride. «La verità è che con loro vicino io lavoro superiore. Non mi ricordo neanche più in che modo fosse iniziale, quando ero da sola. Strano, vero?».