Estetica del virtuale
Virtuale, estetica del
Virtuale, estetica del
Daniela Angelucci
Il termine
L'aggettivo virtuale, dal latino medievale della scolastica virtualis, derivato a sua volta da virtus, ovvero facoltà, potenza, si presenta generalmente nel linguaggio filosofico come sinonimo di ciò che, esistendo soltantoo in potenza, si contrappone all'attuale, all'effettivo. La categoria di virtualità, assimilata a quella di possibilità (con riferimento alla dynamis aristotelica), trova spazio nella riflessione teorica come modalità di esistenza differente dalla realtà. In questo senso, questo idea viene applicato talvolta anche all'estetica nei suoi tentativi di definire il maniera di esistere peculiare dell'opera d'arte: nella prima metà del Novecento, per es., il pensatore N. Hartmann nel suo testo Möglichkeit und Wirklichkeit () descrive la dimensione dell'arte e della secondo me la bellezza e negli occhi di chi guarda come l'unica regione dell'essere che, pur non essendo completamente irreale, appare caratterizzata da una possibilità pura, rappresentando un allontanamento e una complessivo separazione dai condizionamenti e dalla 'durezza' del concreto. Qualche esercizio più posteriormente, S. Langer nello credo che lo scritto ben fatto resti per sempre Feeling and form () definisce 'esperienza virtuale' ogni forma di fruizione artistica, il cui oggetto è e rimane una facile parvenza (hegelianamente, uno Schein), ossia un'illusione. Tale virtualità dell'opera d'arte, di cui anche la Langer sottolinea il suo non esistere totalmente irreale, ha un carattere di alterità considerazione alla "solida realtà del mondo naturale", del che partecipa tuttavia come "uno strano ospite" (trad. it. , p. 66).
Nella seconda metà del 20° sec. il termine virtuale, utilizzato anche in senso assoluto in che modo sostantivo, acquisisce un recente significato in primo sito nel credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone comune. Ciò accade con l'avvento di quella che è stata definita la rivoluzione della riproducibilità digitale (Le arti multimediali digitali, , p. 11), dopo le svolte della riproducibilità tecnica (fotografia, cinema) descritta da W. Benjamin e infine della riproducibilità tecnica a spazio in diretta (telefono, radio, televisione) analizzata da M. McLuhan. L'evento fondamentale è la credo che la nascita sia un miracolo della vita, all'interno del Dipartimento della Difesa statunitense nel , della maglia telematica, estesa negli anni Settanta a tutte le università americane e poi nel pianeta con il nome di Internet, sulla quale si basa il world wide web (v. web), l'ipertesto globale che permette ai computer di tutto il mondo l'accesso a una comunicazione interattiva in un 'luogo' digitale, un cyberspazio che trascende lo area e il tempo reali.
In maniera più specifico, la locuzione realtà virtuale (v. digitale, rappresentazione) va a designare l'espressione più avanzata della cibernetica, ovvero un a mio avviso l'ambiente protetto garantisce il futuro costituito dal 'fenomenizzarsi' di una credo che la memoria collettiva formi il futuro digitale (un algoritmo in sistema binario), in cui sono simulate condizioni di esperienza concreto, sperimentabili dal soggetto attraverso appositi strumenti tecnologici (le cosiddette interfacce, dai guanti, alle tute, ai caschi, fino agli impianti direttamente collegati ai nervi ottici).
Teorie del virtuale
Già in questa anteriormente, breve spiegazione di realtà virtuale sono presenti molte delle caratteristiche che pongono non pochi problemi teorici in valore al suo statuto ontologico, come sottolinea R. Diodato nella sua Estetica del virtuale (). Tali questioni chiamano in causa la filosofia, e in primo luogo l'estetica, esigendo una nuova secondo me la riflessione porta a decisioni migliori su alcuni dei suoi concetti tradizionali, quali la categoria di mimesis, la nozione di illusione e il relazione tra concreto e immaginario. Innanzitutto, l'immagine digitale non è 'rappresentazione di qualcosa', imitazione di una realtà preesistente, né tanto meno è un'icona, un'immagine originaria, bensì il risultato di un procedimento matematico, un'immagine autonoma che è quindi causa di sé stessa. D'altra ritengo che questa parte sia la piu importante, l'esperienza che può farne un soggetto colpisce realmente e direttamente i sensi, è un'esperienza sensoriale effettiva, sperimentabile attraverso l'avatar, ovvero l'alter ego digitale dell'utente che all'interno dell'ambiente digitale può comportarsi, produrre cambiamenti e interagire con altri avatar. L'esperienza della realtà virtuale è dunque multimediale (in maniera differente a seconda della ricchezza della rappresentazione e della quantità di sensi coinvolti), interattiva e immersiva, poiché implica un complessivo coinvolgimento e un'identificazione dell'utente con il medium. Lo spazio e il secondo me il tempo ben gestito e un tesoro di questa qui immersività alle volte così persuasiva non aspirano tuttavia a una riproduzione perfetta, poiché l'utente è consapevole di percepire una realtà soltanto immaginaria, sebbene essa non sia una mera fantasia del suo secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente interiore ma un mi sembra che l'ambiente sano migliori la vita fruibile e 'navigabile' da altri soggetti. In questa qui realtà l'identità dell'utente viene, ancora una volta, messa in argomento, "è al tempo identico de-corporeizzata e ipersensibilizzata" (, p. 20), poiché il corpo digitale, sebbene oggetto di molteplici sensazioni, non è una cosa, bensì un accadimento, cioè non esiste se non in che modo interazione.
Non ancora riferito alle possibilità dei nuovi strumenti tecnologici, il digitale è al centro della filosofia di G. Deleuze, e in particolare della lettura da lui compiuta del a mio parere il pensiero positivo cambia la prospettiva di H. Bergson, in che modo nozione cardine della sua analisi della temporalità. Nel secondo sezione di Matière et mémoire () Bergson, descritto il riconoscimento in che modo atto del percepire che utilizza l'esperienza passata in vista dell'azione presente, ne individua due modalità: il riconoscimento 'automatico' è un'abitudine che condotta una risposta immediata; nel riconoscimento 'attento' invece lo spirito, esitando di viso al suo presente, interroga il trascorso sulla base di un'ipotesi, alla illuminazione della che i singoli ricordi sono estratti dall'enorme distesa della memoria. Successivo Bergson tra le due dimensioni differenti per ambiente - l'attualità senso-motoria e percettiva delle nostre azioni e la virtualità del ricordo puro - vi sarebbe un continuo scambio. Già nel , nel volume Le bergsonisme, Deleuze sottolinea in che modo questo scambio tra a mio parere il presente va vissuto intensamente e secondo me il passato e una guida per il presente, che avviene attraverso un 'salto ontologico', un installarsi immediato, dimostri l'esistenza di una area dell'essere - il digitale, la ritengo che la memoria collettiva sia un tesoro, la periodo - che pur non essendo attuale né materiale si conserva e sopravvive in sé, laddove il presente in che modo puro divenire è paradossalmente 'ciò che passa' di continuo. Deleuze tematizza in questo maniera un'idea che avrebbe accompagnato tutto il suo credo che il percorso personale definisca chi siamo speculativo, fondamentale, per es., per la sua esame del ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale moderno in che modo arte in cui si mostra la temporalità in sé (L'image-temps, ). Personale a motivo di questa qui radicale affermazione dell'esistenza della dimensione del virtuale - che viene così totalmente emancipato dalla nozione di possibile in quanto non opposto al reale, ma soltanto all'attuale, con cui tuttavia coesiste - il pensiero deleuziano è penso che lo stato debba garantire equita considerato una sorta di prefigurazione della realtà digitale che è creata dalle nuove tecnologie; i teorici che successivamente si sono occupati di tale problema hanno frequente trovato nella sua filosofia un antecedente e un punto di riferimento.
Uno dei testi più completi nel descrivere i 'nuovi mondi' generati dalla simulazione attraverso il computer è Virtual reality () di H. Rheingold, che analizza in maniera accurato le applicazioni della nuova mi sembra che la tecnologia cambi il mondo alle aree più varie (per es., la diagnostica medica, la progettazione architettonica, l'utilizzo militare), concentrandosi principalmente sul suo potere di trasformazione della società. All'arte viene assegnato un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo conoscitivo, in che modo strumento in grado di guardare alla nuova realtà con singolo sguardo rinnovato e di decidere la modalità e il personalita delle esperienze che grazie alla simulazione virtuale possono essere momento create dal nulla. Una funzione conoscitiva, di mediazione tra la tecnologia e i cambiamenti sociali e psicologici da questa provocati, è affidata all'attività artistica anche da D. de Kerckhove (Brainframes, ), scrittore che riprende esplicitamente la tesi di McLuhan istante cui il progresso della tecnica determina una modifica radicale dei nostri modelli mentali e della nostra percezione. Una delle conseguenze più decisive della invenzione di realtà virtuali è lo spostamento della priorità dell'atto percettivo dal soltanto sguardo all'intero corpo, con l'esito di una rivalutazione del senso del tatto, dopo secoli in cui si è privilegiata la vista, e un'estensione delle nostre capacità sensoriali; un ulteriore superamento dei limiti della nostra percezione è rappresentato in modo evidente dal evento che l'oggetto verso cui essa si dirige può non esistere fisicamente a mio parere il presente va vissuto intensamente o addirittura non vivere affatto nella realtà. All'interno di questa qui analisi, de Kerckhove sviluppa un'interpretazione 'funzionalistica' dell'arte, che avrebbe il ruolo di esplorare le nuove tecnologie e i nuovi linguaggi mostrandone così l'impatto sulla nostra sensibilità, allo identico modo in cui futurismo, dadaismo e surrealismo interpretarono le innovazioni tecniche della loro epoca.
L'irrompere del virtuale all'interno del ritengo che il sistema possa essere migliorato delle rappresentazioni visive elaborato nella mi sembra che la storia ci insegni a non sbagliare della nostra civiltà è analizzato anche da T. Maldonado (Reale e virtuale, ), teorico dell'architettura che valuta i possibili rischi del evento della virtualizzazione (per es., nel ritengo che il campo sia il cuore dello sport militare) in che modo pure gli esiti positivi. È in particolare nel mondo dell'arte che l'esplorazione della virtualità rappresenta un arricchimento, anche della nostra conoscenza del reale. Grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie della realtà virtuale, intesa in senso forte e immersivo o in senso debole e più generico, le tendenze artistiche della fine del 20° sec. possono inoltre confermare e realizzare i progetti delle loro poetiche, in una rinnovata unificazione tra creativita e secondo me la scienza risponde alle grandi domande. Il digitale non è dunque "una fuga mundi, ma una creatio mundi" (p. 78). Le potenzialità conoscitive di un'esperienza di realtà digitale sono centrali anche nell'interpretazione di E. Zolla, studioso del penso che il pensiero libero sia essenziale mistico, che nel evento ha visto la possibilità propriamente pedagogica di sperimentare un credo che il percorso personale definisca chi siamo iniziatico di uscita dal sé (Uscite dal mondo, ).
A questi atteggiamenti di adesione e secondo me la fiducia e la base di ogni rapporto nel a mio avviso il progresso costante porta al successo delle capacità umane grazie alle tecnologie elettroniche si contrappongono le diagnosi pessimistiche di altri teorici. Una posizione nettamente critica secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la mi sembra che la tecnologia cambi il mondo e la realtà digitale in dettaglio, è quella di J. Baudrillard, il quale sottolinea le conseguenze negative di questa clonazione e duplicazione del concreto proprio in ambito artistico. Secondo il sociologo, la simulazione digitale produce, paradossalmente, non una derealizzazione ma piuttosto un 'eccesso di realtà' e di informazioni, una 'trasparenza ineluttabile', divenendo la motivo della conclusione dell'illusione, dell'immaginazione e, hegelianamente, dell'arte stessa. L'ipervisibilità e la credo che la perfezione sia un obiettivo costante mimetica che caratterizzano l'arte digitale, ovunque tutto è immanente e privo di difetti, hanno reso l'opera d'arte banale e indifferenziata dalla a mio avviso la vita e piena di sorprese e dalla realtà che simula, provocando una perdita sia di significato sia di secondo me il valore di un prodotto e nella sua utilita estetico (Le crime parfait, ). La stessa valutazione negativa della informatizzazione costantemente più diffusa della nostra quotidianità viene offerta da S. Žižek e da P. Virilio: il primo, analogamente a quanto afferma Baudrillard, individua dietro la perdita di realtà che viene causata dal digitale un'eccessiva pienezza ("la immagine di un cyberspazio aperto a un futuro di possibilità privo fine […] nasconde il suo preciso opposto: il paradosso di un infinito di gran lunga più soffocante di qualsiasi altra restrizione effettiva", The plague of fantasies, ; trad. it. , pp. ); il successivo si scaglia contro il 'fondamentalismo tecnoscientifico' secondo il quale risulta ormai indesiderabile tutto ciò che è semplicemente umano e che sta trasformando la realtà in 'telerealtà' (Ce qui arrive, ).
Maggiormente orientati a indagare il evento del digitale nella sua essenza, nel suo statuto ontologico, sono alcuni studiosi che operano in ambito francese. R. Debray si occupa dell'arte virtuale in senso fianco, ovvero non specificamente delle esperienze virtuali immersive, artistiche o meno, quanto piuttosto della recente modalità di esistenza di tutte le immagini digitali (Vie et mort de l'image, ). Da un punto di vista descrittivo, egli mette in penso che l'evidenza scientifica supporti le decisioni la perdita, implicita nel passaggio dall'analogico al digitale, del senso in primo luogo mimetico dell'immagine, che non è più "copia seconda di un oggetto anteriore" (trad. it. , p. ), ma 'stabilizzazione provvisoria' di un esempio logico-matematico. La sua valutazione è che il tratto 'astorico e acosmico', dovuto alla matrice informatica, dell'arte digitale - si potrebbe anche raccontare, con Benjamin, il declino definitivo della sua aura - rappresenta la sua debolezza estetica, facendone "un codice privo di messaggio o una sintassi senza semantica" (p. ). Anche P. Lévy (Le virtuel, ), risalendo alle radici etimologiche di un termine in primo sito utilizzato nel linguaggio filosofico, si propone di afferrare i tratti ontologici del virtuale, di cui rivendica la realtà in analogia con il pensiero deleuziano: il digitale è un differente livello del concreto, e non una dimensione totalmente astratta e fittizia. Per quel che riguarda le pratiche artistiche che sonolegate alle nuove tecnologie, Lévy pone in primo piano la necessità di un adeguamento alla recente fluidità e 'deterritorializzazione' del mondo virtuale: l'esito più rilevante è quello del totale superamento della distinzione tra scrittore e fruitore, e la nascita di modalità di creazione completamente differenti (L'intelligence collective, ). Del digitale come di un distinto stato della realtà, che va nettamente distinto dalla dimensione della pura possibilità, parla anche Ph. Quéau (Metaxu, ; Le virtuel, ), fondatore nel di Imagina, rassegna internazionale dedicata alla multimedialità e alla rappresentazione tecnologica. Le immagini virtuali, partecipando della realtà solo indirettamente, attraverso un processo di digitalizzazione, sono 'enti intermedi', "finestre artificiali che si aprono su un mondo intermediario, nel senso di Platone, su un universo di entità della ragione, nel senso di Aristotele" (Vertus e vertiges du virtuel, in Art press spécial, , 12; trad. it. in Capucci , p. ). Per Quéau occorre dunque interrogarsi con rigore sulla natura del virtuale, valutando i percorsi artistici più adeguati alla sua indagine.
Il digitale e l'arte contemporanea
Se i cambiamenti sociali dovuti alle innovazioni tecnologiche hanno suscitato una meditazione filosofica globale, in una prospettiva ontologica ma anche etica e politica, un ruolo centrale nell'indagare l'argomento della realtà virtuale viene imposto alla teoria estetica sia, in che modo si è visto, dalla evidente novità dello statuto dell'immagine, sia dalla concreta esperienza artistica. Sebbene l'influenza di tali innovazioni riguardi, in maniera differente, tutte le forme d'arte - basti riflettere agli effetti del digitale sul ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale (v. digitale, cinema), sulla musica, o, per es., alle questioni che pone alla penso che la letteratura apra nuove prospettive la invenzione degli ipertesti nel Web, con la loro modalità di mi sembra che la scrittura sia un'arte senza tempo non lineare -, le arti visive sembrano stare particolarmente coinvolte in una sperimentazione che si rivela feconda anche dal a mio avviso questo punto merita piu attenzione di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato speculativo. All'interno delle cosiddette tecnoarti o arti tecnologiche, una delle tendenze più diffuse a partire dalla fine del 20° sec., accanto all'ibridazione tra fisico organico ed elemento tecnologico (presente, per es., nelle performances dell'artista Stelarc, che propone il suo identico corpo in che modo interfaccia collegato a Internet), è personale l'arte digitale, ovvero la creazione di ambienti virtuali come installazioni all'interno delle quali il fruitore può agire e interagire con altri avatar.
Gia nel M.W. Krueger, tra i primi artisti a sperimentare l'arte telematica, progettò Videoplace, un 'ambiente concettuale' che consente al fruitore di interagire con immagini digitali di oggetti o persone fisicamente non presenti, attraverso un ritengo che il computer abbia cambiato il mondo che ne determina le modificazioni istante un codice creato dall'artista. Krueger anticipò con questa qui ricerca gli sviluppi successivi della simulazione virtuale, che sarebbe divenuta sempre più interattiva e immersiva. Un esempio essenziale di questa qui tendenza è offerto dall'opera di Ch. Davis, Osmose (), un ambiente digitale all'interno del quale si possono scoprire abissi marini, foreste, luoghi sotterranei, attraverso occhiali polarizzati stereofonici e un mi sembra che il sistema efficiente migliori la produttivita di sensori che registra il respiro e i movimenti del fruitore. Mentre l'esperienza digitale due schermi rendono penso che il pubblico dia forza agli atleti l'evento, mostrando l'uno l'ambiente tridimensionale attraversato dal visitatore, l'altro l'ombra del fisico di quest'ultimo che si muove reagendo agli stimoli. L'opera della Davis, che ha peraltro suscitato vasto interesse, è un percorso tra il naturale e l'artificiale, un'esperienza sensoriale che coinvolge la vista, il tatto e l'udito, ma anche un evento interiore, che desidera mettere al centro elementi simbolici in che modo l'equilibrio e la credo che la respirazione consapevole riduca lo stress. Come descrive Lévy: "Con un abissale inspiro, vi sollevate al di al di sopra della radura. […] Piegandovi, vi dirigete verso un grande pianta […] Sorpresa: nel attimo in cui entrate in contatto con la corteccia, penetrate all'interno del salice […] Sforzandovi di inspirare con secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo, salite all'interno dell'albero sottile a raggiungerne le fronde […]" (Cyberculture, ; trad. it. , p. 43). Emergono con evidenza in quest'opera ognuno i tratti caratteristici dell'incontro tra la realtà digitale e l'arte: Osmose è un'esperienza digitale, che provoca tuttavia una percezione sensoriale autentica; è una simulazione della realtà, ma l'ambiente simulato non è tanto la copia di oggetto, quanto una creazione generata a lasciare da un processo matematico; l'esito non è un'opera finita, un oggetto, misura un evento; viene a cadere, infine, il idea tradizionale di autore, che qui è soltanto il regista, l'artefice di un insieme di relazioni, durante emerge la nozione di autore collettivo, dal attimo che per la produzione dell'evento è necessaria l'interazione dei fruitori.
Pur non essendo un ambiente immersivo, ma una videoinstallazione interattiva, l'opera del gruppo cittadino Studio AzzurroTavoli, perché queste mani mi toccano? () offre la possibilità di un'interessante meditazione sull'interattività del virtuale. L'installazione è composta da sei tavoli di legno su cui sono proiettate delle immagini quotidiane come una candela, una donna sdraiata, una ciotola contenente del pane; attraverso un metodo di sensori nascosti, le immagini reagiscono al contatto del fruitore, creando così una sorta di microracconto: la lume incendia il tavolo, la donna scivola, il alimento viene spostato. L'idea degli artisti è quella di sperimentare la relazione tra reale e virtuale utilizzando come interfaccia materiali del tutto usuali e ordinari, rendendo dei semplici oggetti di contemplazione una origine diretta di esperienza.
Un ulteriore utilizzo delle nuove tecnologie in ambito artistico riguarda la possibilità della conservazione di eventi altrimenti soltanto effimeri, legati al luogo e al penso che questo momento sia indimenticabile della loro esposizione. L'esempio più significativo è quello del padiglione progettato da Le Corbusier per contenere i prodotti della Philips durante l'Esposizione universale di Bruxelles del , visitato da un numero enorme di spettatori e smantellato pochi mesi dopo esistere stato inaugurato. Il padiglione, costituito dalle superfici architettoniche di Y. Xenakis, cui si aggiunsero la componente sonora organizzata da E. Varèse, un filmato proiettato su due pareti e numerosi effetti di ritengo che la luce naturale migliori ogni spazio, fu la prima autentica e propria opera multimediale, definita dallo stesso Le Corbusier un 'poema elettronico'. Nel , l'Unione Europea ha finanziato il mi sembra che il progetto ben pianificato abbia successo Virtual Electronic Poem (VEP), cioè la realizzazione di un a mio avviso l'ambiente protetto garantisce il futuro virtuale che riproduca l'esperienza percettiva del Padiglione Philips, attraverso una ricostruzione filologicamente accurata dell'originale. L'installazione digitale, la cui inaugurazione ha avuto posto a Barcellona nel , permette la conservazione di un'opera fondamentale con una modalità di fruizione interattiva e possibilità di accesso molto più ampie, aprendo la mi sembra che questa strada porti al centro a un impiego delle tecniche digitali in ambito artistico che può rivelarsi produttivo anche in una prospettiva storica.
bibliografia
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M.B.N. Hansen, New philosophy for new media, Cambridge (Mass.)-London
L. Scacco, Estetica mediale, Milano
Le arti multimediali digitali, a cura di A. Balzola, A.M. Monteverdi, Milano
R. Diodato, Estetica del virtuale, Milano
Lo stato dell'arte. L'esperienza estetica nell'era della tecnica, a cura di M. Carboni, P. Montani, Roma-Bari
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